sabato 26 febbraio 2011

Napolitano: un nuovo corso per il popolo libico


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"Un nuovo corso per il popolo libico"
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione della sua visita ufficiale in Germania, ha rilasciato al giornalista Thomas Schmid l'intervista pubblicata da "Die Welt" con il titolo "L'Europa deve essere un Global Player".
Articolo di: quirinale.it

Die Welt: Signor Presidente, di fronte alle svolte in Tunisia ed in Egitto, l'Europa ha reagito in modo adeguato?
Napolitano: Credo che l'Europa, negli anni passati, sia stata un po' disattenta nei confronti degli sviluppi nel Nordafrica. Abbiamo sottovalutato l'aggravarsi dei problemi di larghe masse popolari. Ora, l'Europa deve adoperarsi decisamente a trovare una linea comune, una politica mediterranea comune. Abbiamo ritenuto che i regimi del Nordafrica fossero stabili e non corressero rischi estremi. Questa è stata un'illusione alla quale abbiamo ceduto. Naturalmente, il grido di libertà che si leva in molti paesi si collega con quello per il pane, per la giustizia sociale. Ed esplode l'ira nei confronti della corruzione, l'ira per le molte ingiustizie e disparità. Ma si è mostrato anche che il desiderio di libertà può essere una potente forza storica.

Come valuta gli attuali sviluppi in Libia?
Napolitano: Sto seguendo con attenzione le drammatiche notizie provenienti dalla Libia che riferiscono di un già pesante e odioso bilancio di vittime fra la popolazione civile. Sottolineo come alle legittime richieste di riforme e di maggiore democrazia che giungono dalla popolazione libica vada data una risposta nel quadro di un dialogo fra le differenti componenti della società civile libica e le autorità del Paese che miri a garantire il diritto di libera espressione della volontà popolare. Viceversa la cieca repressione che colpisce inammissibilmente e in modo indiscriminato la popolazione non fa che allontanare il Paese da quel cammino di pace e prosperità necessario ad assicurare il benessere del popolo libico. Si impone pertanto l'immediata cessazione delle violenze e l'avvio di un nuovo corso - nella libertà - per aprire al popolo libico la prospettiva di un futuro migliore.

L'Europa, ora, che cosa può fare?
Napolitano: Dobbiamo beninteso rispettare l'autonomia di questi Paesi. Devono decidere loro stessi quale strada prendere. Non possiamo comunque che sostenere un processo di transizione ordinata che porti a elezioni democratiche. E dobbiamo sforzarci di avviare una forte politica euro-mediterranea, nello spirito del processo di Barcellona.

...che non è però poi gran ché. L'Unione per il Mediterraneo di Sarkozy, certamente un'ottima idea, finora è risaltata solo per la sua inerzia.
Napolitano: Effettivamente non è andata molto lontano, ora ha bisogno di un rilancio.

La causa della debolezza è dovuta al fatto che l'Unione Europea consideri meno importante il Mediterraneo?
Napolitano: Sarebbe un grave errore ritenerlo insignificante. In effetti, vediamo proprio adesso quali sono realtà e i fermenti che in esso si muovono. Con l'allargamento ad Est, l'Unione Europea è diventata certamente più lontana dal Sud. Ma non vi deve essere alcuna contraddizione fra la dimensione nordica e orientale dell'Europa e quella mediterranea. Entrambe sono elementi di una comune politica estera dell'Europa. Ce ne dobbiamo rendere nuovamente conto. E non si dovrebbe dimenticare che il Mediterraneo rimarrà una cerniera importantissima per i rapporti dell'Occidente con le nuove potenze emergenti in Asia ed in Sudamerica. Il Mediterraneo non è un'area politica di importanza minore. E l'Unione Europea può essere un riferimento essenziale per il futuro sviluppo nell'Africa settentrionale.

L'Europa ha la forza per diventare un global player come gli Stati Uniti o anche come la Cina?
Napolitano: Qui la mia risposta è chiarissima. O l'Europa diventerà un global player - o cade nell'irrilevanza. Non esiste un qualsiasi Paese europeo, che, da solo, possa assumere, in futuro, un ruolo sulla scena della politica globale. Abbiamo da un lato potenze emergenti come il Brasile, l'India e la Cina e dall'altro grandi protagonisti storici come gli USA. Solo se noi europei parliamo con una sola voce, peseremo nella politica globale. Altrimenti rischiamo di scivolare ai margini della politica globale.

Ne deduco che l'Unione Europea sarà un tema importante, quando Lei, giovedì prossimo, incontrerà a Berlino il Presidente Federale Wulff e il Cancelliere Federale Merkel.
Napolitano: Questo sarà il tema centrale. Vogliamo parlare in particolare su come possiamo rilanciare insieme l'impegno per l'Europa che si è visibilmente intiepidito, con energia e passione. E in modo tale che esso tocchi e affascini anche i cittadini.

E' in buone condizioni l'Europa, l'Unione Europea?
Napolitano: No, nessuno può essere soddisfatto della situazione attuale nell'Unione Europea. Per quanto riguarda il Trattato di Lisbona, penso, avremmo dovuto essere forse un po' più coraggiosi. La crisi che viviamo da due anni, a mio avviso, ci impone di fare un energico passo in avanti nell'integrazione europea.

Nei primi decenni del processo di unificazione europea, gli italiani sono stati europei particolarmente entusiasti. Perché non lo sono più? Perché la gente non ama più l'Europa?
Napolitano: Se oggi si guarda all'Europa in modo più scettico - in Italia del resto un po' meno che in Germania - questo, naturalmente, ha molto a che fare con la crisi economica. La gente ha creduto che l'UE fosse una specie di assicurazione contro tutte le crisi, ha creduto che nell'Europa unita si proseguisse ininterrottamente nello sviluppo e verso un maggiore benessere. È stata una convinzione illusoria, e per questo molti ora sono delusi. È stato un errore anche della politica, alimentare questa convinzione o almeno non contrastarla. Ora è il difficile compito storico della politica chiarire questo grande malinteso e rendere evidente ai cittadini quanto sia preziosa, proprio anche in questa crisi, l'unità dell'Europa e in particolare la nostra moneta comune.

Esiste anche un altro motivo per la diffusa "stanchezza" nei confronti del concetto di "Europa". Per le persone della Sua generazione che hanno vissuto la guerra, il fascismo e il nazionalsocialismo, l'Unione Europea è tanto preziosa perché, a memoria d'uomo, ha portato al Continente il primo vero periodo di pace. Per i più giovani non è più un dono, ma una cosa naturale.
Napolitano: È vero. Non si è più consapevoli dell'abisso dal quale siamo venuti. L'Unione Europea, in effetti, non è solo una comunità economica - in primo luogo è un progetto politico di dimensioni storiche. Ha superato le cause che hanno portato a due Guerre Mondiali. Non si deve aver vissuto la Seconda Guerra Mondiale per comprendere quale benedizione sia questo. Oggi, l'Europa non porta più in sé il pericolo di ricadere in conflitti distruttivi. Il problema è oggi quello del contributo da dare alla pace nel mondo e alla sicurezza su scala mondiale. L'Europa deve influire sul processo della globalizzazione.

Nella Sua autobiografia Lei descrive come, da giovane comunista, fosse stato contrario a quell'Europa di De Gasperi, di Schuman e di Adenauer, da Lei oggi tanto stimata. Perché quel no?
Napolitano: Perché allora vivevamo in un periodo di aspri contrasti ideologici. Fu un grave errore della sinistra non solo italiana vedere l'unificazione europea come una variante dell'Alleanza atlantica. Nel mondo diviso in due blocchi prevalsero scelte di campo, con gli Stati Uniti o con l'Unione Sovietica. In Italia, tutto ciò in ogni modo è cambiato già negli anni 60: anche il partito comunista italiano imboccò da allora la strada europea.

Sin dalla crisi della Grecia sta girando in Europa la lamentela che la Germania non sia più tanto europeista come in passato e che promuoverebbe una politica quasi nazionalista.
Napolitano: È un'interpretazione semplicistica e ingenerosa. La crisi della Grecia, naturalmente, ha influenzato il dibattito europeo. Ma è un fatto che la Germania si è impegnata per tutelare l'Eurozona da attacchi speculativi e da rischi.

Può esservi ancora una finalità politica europea. Lei crede negli Stati Uniti d'Europa?
Napolitano: Con l'Unione Europea, gli Stati dell'Europa sono riusciti a creare una realtà storicamente del tutto nuova: non una federazione europea, ma un'Unione inedita - un'Unione di Stati e di popoli. Ci sono sempre gli Stati nazionali sovrani che cedono una parte delle loro competenze, ma restando comunque sovrani. È assai difficile comprimere questa struttura innovativa all'interno di uno schema. L'Europa è un esperimento grandioso non ancora compiuto. Questo carattere in divenire e aperto è proprio il lato positivo dell'Unione. Anche se in Italia ed in Germania si ama brontolare sull'Europa - altrove ci invidiano per il successo di questo esperimento.

Che cosa potrà essere fatto per rendere di nuovo più attraente l'Unione Europea anche in Europa?
Napolitano: Credo che abbiamo più bisogno di uno spazio pubblico europeo, di un dibattito condotto non solo nei singoli Paesi ma al di là delle frontiere. E abbiamo bisogno di più riflessione culturale comune. In Europa stanno circolando troppi giudizi sommari. Per la mia generazione, quando eravamo giovani, sarebbe stato impensabile potersi muovere liberamente in Europa. Oggi, per i giovani, è una cosa ovvia, non viaggiano soltanto, studiano in altri Paesi. È un gran patrimonio - che non abbiamo ancora sfruttato con consapevolezza. Dobbiamo proseguire con fermezza. Lo scetticismo europeo non deve avere l'ultima parola.

Lei adora Thomas Mann, non solo come scrittore.
Napolitano: Eh si. Durante la Seconda Guerra Mondiale ha sviluppato come visone contro il nazismo la visone di un'Europa unita. S'immagini: nel pieno della guerra! I nazisti, in effetti, prospettavano un'Europa unita anche loro, ma un'Europa tedesca, unificata con la violenza e ordinata in modo totalitario. A ciò Thomas Mann contrappose la sua idea di una Germania che diventa europea: democratica, in un'Europa unita. Fu un'idea grandiosa e visionaria, perché allora niente indicava che un tempo questa idea si sarebbe potuta affermare. Similmente visionaria è stata del resto anche l'idea di un'Europa unita federalista di Altiero Spinelli. Anche lui sviluppò la sua idea avvenieristica nel pieno della guerra. Il suo "manifesto di Ventotene", scritto nel 1941, potrebbe aiutarci ancora oggi a superare anacronistici contrasti: nessuno deve avere paura di un super Stato europeo, uniforme e centralizzato. Vogliamo una Unione ispirata al principio di sussidiarietà.
Fonte: www.quirinale.it

Un saluto, Kemi.

venerdì 25 febbraio 2011

Appello della Tavola della Pace in solidarietà con i popoli del Mediterraneo


Vi segnalo un articolo pubblicato oggi su: www.liberainformazione.org

qui il link all’articolo


Riporto integralmente il testo:


Questa "rivoluzione" è anche la nostra!
Appello della Tavola della Pace in solidarietà con i popoli del Mediterraneo
Il Mediterraneo dei Gelsomini
“E’ indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione,…” (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani)

“Tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale e internazionale” (Dichiarazione Onu Difensori dei Diritti Umani)

Ora basta. Basta con il silenzio e le connivenze. Basta con il cinismo, con la stupidità, la miopia, l’indifferenza.

L’Italia deve intervenire, senza ulteriori esitazioni, per fermare la brutale repressione delle manifestazioni in Libia e negli altri paesi del nord Africa e del Golfo. Allo stesso tempo l’Italia deve agire in seno all’Europa, al sistema delle Nazioni Unite e alle altre istituzioni internazionali democratiche all’insegna della ferma difesa dei diritti umani, del dovere di proteggere, di assistere e di accogliere le vittime della repressione. Le norme giuridiche non devono essere soltanto scritte ma effettivamente applicate.

Basta con i proclami ansiogeni da “stato di emergenza”. Basta con la diffusione di paure, paranoie, allarmi e minacce. Basta con il pessimismo e il catastrofismo politico.

Questa “rivoluzione” è anche la nostra. Prima di tutto perché è pacifica e perché crediamo nella globalizzazione dei diritti umani, della libertà e della democrazia. E ogni colpo assestato a regimi e dittature è un passo nella giusta direzione. Secondo perché noi (noi italiani ed europei) abbiamo tutto da guadagnare dal successo di queste storiche rivolte. Lo sviluppo civile, politico e sociale della sponda sud del Mediterraneo rappresenta una formidabile risorsa anche per lo sviluppo del nostro paese. Un’opportunità unica, storica, che non possiamo permetterci di sprecare. Per questo noi non dobbiamo invocare stabilità, ma cambiamento. Per questo, senza ulteriori indugi, dobbiamo essere concretamente al fianco di chi sta rischiando la vita per la libertà, la giustizia e la democrazia contro ogni forma di repressione.

Per questo l’Italia e l’Europa devono avere il coraggio di rompere con un passato fatto di sfruttamento, traffici leciti e illeciti, complicità con re, monarchi e dittatori, ingiustizie, violazioni dei diritti umani e silenzi interessati. Ostinarsi a fare come si è fatto sin’ora non è solo ingiusto ma anche impraticabile, miope e fallimentare. Un grande errore strategico.

L’Italia e l’Europa devono avere il coraggio di guardare al futuro e mobilitare ogni risorsa disponibile a sostegno dei cambiamenti in corso. Oltre alla propaganda isterica sulla “minaccia islamica" e sull’"Occidente satanico", oltre alla teoria dello scontro di civiltà, oltre alla vecchia logica delle armi e del muro contro muro, noi sappiamo che un altro futuro è possibile. L’Italia e l’Europa devono dare avvio immediato ad un radicale ripensamento delle relazioni con i paesi del nordafrica e in particolare con quelli in via di democratizzazione. E devono investire, con creatività e determinazione, per fare del Mediterraneo un vero mare della pace, della solidarietà, dell’incontro fertile tra persone e culture diverse, del dialogo tra le grandi religioni, della sicurezza comune e dello sviluppo umano per tutti.

Il nostro destino non sarà diverso da quello dei popoli del Mediterraneo. O ci impegniamo a progettare insieme delle condizioni di vita migliori per tutti o non ci sarà pace per nessuno.

Spetta a noi di investire sulla costruzione di un Mediterraneo che può diventare il cuore “dell’edificazione della storia nuova del mondo”(Giorgio La Pira).

Invitiamo tutti i cittadini, i gruppi, le associazioni, gli enti locali, le organizzazioni laiche e religiose, solidali con i giovani e i popoli in lotta per la dignità, i diritti umani, la libertà, la democrazia e lo stato di diritto nel mondo arabo, preoccupati per la dura repressione che stanno subendo e indignati per l’inazione del governo italiano, favorevoli ad un più coerente impegno per la pace e i diritti umani, ad 
esporre da subito la bandiera della pace ai balconi delle case.

Chiediamo insieme:

1. una chiara e forte condanna di tutte le forme di repressione contro le manifestazioni pacifiche in corso;

2. l’immediato invio di osservatori internazionali (International Human Rights Monitors) e delle agenzie umanitarie nei paesi interessati dalle rivendicazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali da parte del Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea;

3. il riconoscimento dei bisogni umanitari e del diritto all’accoglienza di tutti coloro che fuggono dalle violenze, dalle minacce e dalle altre violazioni dei diritti umani in atto nel mediterraneo;

4. il blocco della vendita delle armi e la sospensione di ogni forma di cooperazione militare con tutti i paesi che non rispettano il diritto di manifestare liberamente e pacificamente;

5. l’adozione tempestiva delle necessarie misure di assistenza umanitaria alle popolazioni sottoposte a deprivazioni dei diritti non soltanto civili e politici ma anche economici e sociali;

6. l’apertura di una inchiesta internazionale dell’Onu tesa a individuare, processare e punire i responsabili delle uccisioni e delle violenze contro i civili;

7. l’immediata convocazione dell’Assemblea Parlamentare Euromediterranea;

8. l’immediata definizione di un piano nazionale ed europeo di promozione della cooperazione e del dialogo tra la società civile, le organizzazioni e le culture, delle due sponde del Mediterraneo.

Facciamo appello alle organizzazioni e ai movimenti di società civile europea affinché attivino tutti le iniziative di solidarietà e di pressione sui governi europei perché finalmente si realizzi una autentica “Comunità del Mediterraneo per la sicurezza e lo sviluppo umano”.

Facciamo appello agli enti locali e alle Regioni perché, sull’esempio di Giorgio La Pira, diano vita ad una nuova stagione di diplomazia delle città basata sull’incontro, il dialogo, lo scambio e la cooperazione tra i popoli dell’Europa e del Mediterraneo.


Tavola della pace, Acli, Agesci, Arci, Cgil, Cisl, Articolo 21, Libera–Associazioni Nomi e Numeri contro le mafie, Cipsi, Cnca, Udu-Unione degli Universitari, Emmaus Italia, Pax Christi, Volontari nel Mondo-Focsiv, Associazione per la pace, Legambiente, Beati i Costruttori di pace, Centro per la pace Forlì/Cesena, Lega per i diritti e la liberazione dei popoli, Movimento Federalista Europeo, Flare, Terra del fuoco, Forum Trentino per la pace, Reds-Rete degli Studenti Medi (prime adesioni).


Le adesioni vanno inviate alla Tavola della Pace, via della viola 1 (06122) Perugia - Tel. 075/5736890 - fax 075/5739337 email segreteria@perlapace.it -

mercoledì 23 febbraio 2011

Italia primo fornitore europeo di armi alla Libia



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www.perlapace.it


Nel biennio 2008-2009 l’Italia ha autorizzato alle proprie ditte l’invio di armamenti alla Libia per oltre 205 milioni di euro che ricoprono più di un terzo (il 34,5%) di tutte le autorizzazioni rilasciate dall’UE (circa 595 milioni di euro).Articolo di: Giorgio Beretta
Foto di interno.it

L’Italia non solo è uno dei principali partner commerciali della Libia, ma è il maggiore esportatore europeo di armamenti al regime di Gheddafi. I Rapporti dell’Unione europea sulle esportazioni di materiali e sistemi militari (qui l'ultimo rapporto e un'analisi) certificano che nelbiennio 2008-2009 l’Italia ha autorizzato alle proprie ditte l’invio di armamenti alla Libia per oltre 205 milioni di euro che ricoprono più di un terzo (il 34,5%) di tutte le autorizzazioni rilasciate dall’UE (circa 595 milioni di euro). Tra gli altri paesi europei che nel recente biennio hanno dato il via libera all’esportazione di armi agli apparati militari di Gheddafi, figurano la Francia (143 milioni di euro), la piccola Malta (quasi 80 milioni di euro), la Germania (57 milioni), il Regno Unito (53 milioni) e il Portogallo (21 milioni).
A differenza colleghi europei, il ministro degli Esteri Frattini si è guardato bene dal dichiarare anche solo la sospensione temporanea dei rifornimenti di armi a Gheddafi. Eppure da quando sono iniziate le manifestazioni di piazza in diversi paesi del nord Africa non sono mancate le dichiarazioni in tal senso delle principali cancellerie europee.
Ha cominciato la Francia annunciando la sospensione dell’invio all’Egitto non solo di sistemi militari ma anche di ogni materiale esplosivo o destinato al controllo dell’ordine pubblico tra cui i gas lacrimogeni. Ha proseguito la Germania dichiarando l’interruzione delle forniture di armi verso l'Egitto manifestando specifiche “preoccupazioni per le violazioni dei diritti umani nella risposta alle proteste” da parte delle forze dell’ordine vicine al presidente Mubarak. Il 17 febbraio la Francia ha quindi esteso lo stop alla vendita di armi anche al Bahrain e alla Libia. E lo stesso Foreign Office britannico, inizialmente poco propenso ad ammettere l’uso di armi inglesi contro la popolazione a Manama, il giorno successivo ha revocato numerose autorizzazioni all’esportazione di armi in Bahrain e Libia. Tra i principali esportatori europei di armamenti solo l’Italia tace.
Eppure non sono mancate le sollecitazioni. Dopo i primi tumulti nei paesi del nord Africa,Rete Disarmo e la Tavola della pace avevano chiesto esplicitamente al Governo italiano di sospendere ogni forma di cooperazione militare con Algeria, Egitto e Tunisia e di fatto con tutti i paesi dell’area. Simili richieste sono state inoltrate dalle associazioni pacifiste in Germania, in Francia e nel Regno Unito. I cui governi,inizialmente refrattari, hanno dovuto rispondere all’opinione pubblica. Solo il ministro Frattini è sordo ad ogni sollecitazione.
Non sono certo bruscolini gli affari in armi delle industrie militari italiane con il colonnello Gheddafi a cominciare da quelle controllate Finmeccanica. La holding italiana è partecipata per la quota di maggioranza (il 32,5%) dal Ministero dell’Economia, ma ha come secondo azionista proprio la Lybian Investment Authority (LIA), l’autorità governativa libica che detiene una quota del 2,01%: quota che Gheddafi mira ad espandere fino al 3% del capitale per imporre nel consiglio di amministrazione alcuni dei suoi uomini fidati e che comunque già adesso le permetterebbe di eleggere fino a quattro delegati.
Da quando nel 2004 l’Unione europea ha revocato l’embargo totale alla Libia, le esportazioni di armamenti italiani al regime del colonnello Gheddafi hanno visto un crescendo impressionante. Si è passati dai poco meno di 15 milioni di euro del 2006 ai quasi 57 milioni del 2007. Ma è soprattutto nell’ultimo biennio – anche a seguito del “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia” firmato a Bengasi nell’agosto del 2008 dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dal leader della Rivoluzione, Muammar El Gheddafi – che le esportazioni di armamenti italiani verso le coste libiche hanno preso slancio. L’articolo 20 del Trattato prevede infatti “un forte ed ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e delle industrie militari”, nonché lo sviluppo della “collaborazione nel settore della Difesa tra le rispettive Forze Armate”. Si è cominciato quindi con 93 milioni di euro nel 2008 e proseguito nel 2009 con quasi 112 milioni di euro che fanno oggi dell’Italia il principale fornitore europeo – e probabilmente mondiale – di armi al colonnello Gheddafi.
Le asettiche Relazioni della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni militari degli ultimi anni parlano di generici “aeromobili” (Rapporto 2006, Tabella P.), “veicoli terrestri” e ancora “aeromobili” (Rapporto 2007, Tabella 18), ma poi anche di “bombe, siluri,razzi, missili e accessori” e “apparecchiature per la direzione del tiro” e i soliti “aeromobili” (Rapporto 2008, Tabella 15) e più di recente anche di tutto quanto sopra con l’aggiunta di sempre generiche “apparecchiature elettroniche” e “apparecchiature per la visione di immagini” (Rapporto 2009, Tabella 15).
Spulciando le più corpose Relazioni annuali si scopre qualcosa di più: nel 2006 è stata autorizzata l’esportazione a Tripoli di due elicotteri AB109 militari dell’Agusta del valore di quasi 15 milioni di euro. Nel 2007 sempre l’Agusta ha incassato 54 milioni di euro per l’ ammodernamento degli aeromobili CH47. Nel 2008 è stato dato il via libera per l’esportazione di otto elicotteri A109 per 59,9 milioni di euro sempre dell’Agusta e all’Alenia Aeronautica per un aeromobile ATR42 Maritime Patrol del valore di 29,8 milioni di euro. Nel 2009 altri due elicotteri AW139 dell’Agusta per circa 24,9 milioni di euro e quasi 3 milioni per “ricambi e addestramento” per velivoli F260W della Alenia Aermacchi, ma anche una autorizzazione alla MBDA Italiana, azienda leader a livello mondiale nei sistemi missilistici, per materiali di cui non si rintraccia l’autorizzazione (se non il numero: MAE 18160) del valore di 2.519.771 euro.
Non sembrino poca cosa i poco più di 2,2 milioni di euro e per “ricambi e addestramento” dei velivoli F260W della Alenia Aermacchi: la Libia infatti possiedecirca 250 aerei F260W, “un numero spropositato, anche considerando che si tratta delmodello armabile” – notano gli analisti. “Questi velivoli in origine Siai Marchetti, che in Europa vengono utilizzati come addestratori, ma che in Africa e America latina sonospesso impiegati come bombardieri, sono stati venduti all'Aeronautica libica negli anni Settanta. Ne erano stati acquistati 240, oggi non si sa quanti siano in servizio. Nel 2006 un certo numero di questi velivoli sono stati ceduti alle forze armate ciadiane che li hanno utilizzati per bombardare i ribelli sulle frontiere con il Sudan” –ricorda Enrico Casale.
Nella sua approfondita inchiesta sulle esportazioni di armamenti italiani alla Libia dal titolo “Roma-Tripoli: compagni d’armi”, il giornalista del mensile Popoli, evidenzia inoltre che Finmeccanica e la Libyan Investment Authority hanno stretto ulteriormente i loro rapporti il 28 luglio 2009 con un nuovo accordo: si tratta di un’intesa generale attraverso la quale la holding di piazza Montegrappa e il fondo sovrano si impegnano a creare una nuova joint-venture (con capitale di 270 milioni di euro) attraverso la quale gestiranno gli investimenti industriali e commerciali in Libia, ma anche in altri Paesi africani. Il primo frutto è stato un accordo siglato da Selex Sistemi Integrati, società controllata da Finmeccanica, e dal governo libico: un contratto, del valore di 300 milioni di euro, che prevede la creazione di un sistema di “protezione e sicurezza” dei confini meridionali della Libia per frenare l'immigrazione.
Forse anche per questo il ministro Frattini è in difficoltà ad intervenire quando sente parlare di sanzioni contro il leader libico. Gli andrebbe ricordato che la legge 185 del 1990 e la Posizione Comune dell’Unione europea sulle esportazioni di armamenti chiedono di accertare il “rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale e il rispetto del diritto internazionale umanitario da parte di detto paese” e di rifiutare le esportazione di armamenti “qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna”.
Proprio per evitare questo tipo di utilizzo, Francia, Germania e Regno Unito hanno deciso nei giorni scorsi di sospendere le esportazioni militari a diversi paesi tra cui la Libia. Il ministro degli Esteri italiano, invece tace. Che sia all’oscuro delle dichiarazioni dei suoi colleghi?
Intanto il ministro della Difesa, La Russa conferma da Abu Dhabi che la nave della marina militare Elettra è stata mobilitata per far fronte alla emergenza creata dalla crisi in Libia. La Russa si trova negli Emirati Arabi per una non ben specificata (dai media italiani) “visita ufficiale”. Guarda caso proprio nell’emirato dove è in corsol’International Defence Exhibition and Conference (IDEX 2011), “il più grande salone espositivo su difesa e sicurezza nel Medio Oriente e nel Nord Africa”. Al quale non potevano mancare tutte le maggiori industrie italiane di armamenti. E specialmente Finmeccanica che ha realizzato "un padiglione all'avanguardia in linea con i principi espressi nel suo Rapporto di sostenibilità". E per cercare nuovi acquirenti in un’area che è sicuramente di "interesse strategico" adesso che diversi dittatori sono in bilico.
Fonte: www.unimondo.org

lunedì 14 febbraio 2011

Se non ora, quando? Brescia, 13 Febbaio 2011

Domenica 13 Febbraio, Brescia.



Tante persone, donne e uomini.


Persone che erano felici di esserci per dire tutte insieme ora basta!

Quasi una festa anche se festa non era!


Donne.


Donne e uomini.



Giovani,

molti giovani!







Un saluto


Kemi

N.B. se ti riconosci nelle foto e non gradisci apparire, informami che provvederò a togliere quella in cui sei raffigurato

lunedì 7 febbraio 2011

Se non ora, quando? Tutti in piazza il 13 Febbraio!



Qui
il video di presentazione dell'iniziativa!

Qui il link al sito "Se non ora, quando" con tutte le informazioni sulla manifestazione.

Io ci sarò!

Brescia – 13 febbraio, ore 15.00, Piazza Rovetta

Un saluto, Kemi

martedì 1 febbraio 2011

Liberiamoci del maiale! La Repubblica 31/01/2011


Ciao,
Parlano dell'iniziativa su Repubblica ! qui
Un saluto,
Kemi